mercoledì, febbraio 10, 2021

Mindfulness e arte

La trinità è un mistero, anche per i cristiani, e rimarrà sempre tale, ma a volte ci vengono dati degli sprazzi di visione e Andrej Rublëv consente per un breve attimo di guardare dietro il velo. Il capolavoro di Rublëv è tra le "immagini" più antiche del mistero trinitario e il Concilio dei Cento Capitoli di Mosca del 1551 dichiarò canonica la sua Trinità e stabilì che gli iconografi dovevano prendere esempio da quell'opera. La tradizione ci racconta che alla fine del XIV secolo in Russia si assiste al massacro delle popolazioni inermi e impotenti di fronte alla ferocia degli invasori Tartari che devastano la regione distruggendo case e chiese, decapitando corpi e bruciando raccolti. Soltanto il monaco Sergio, diventato poi santo, dona speranza alla popolazione e riesce a far splendere una piccola luce inviando un’ispirazione mistica a Rublëv che scavando sotto le macerie e il fango, dove tutto grida l’assenza di Dio, scopre un dipinto raffigurante il volto del Crocifisso. Il monaco comprende che se il Figlio di Dio è lì, in mezzo al fango, nessun uomo è privo dell’amore di Dio, che è presente nella notte della morte. A questo punto Rublëv decide di riprendere il pennello per testimoniare la speranza del Cristo Risorto e della Trinità presente in noi e fuori di noi, raccogliendo l’eredità spirituale di San Sergio appena morto. Concepire e dipingere un’icona è ancora oggi un’operazione molto delicata perché implica un coinvolgimento teologico e pratico dell’autore che deve meditare sul mistero da raffigurare e su come realizzarlo. Quindi non solo il soggetto mistico ma anche la ricerca dei materiali e la scelta del metodo sono investite dalla consapevolezza del pittore. In particolare all’epoca la trinità era un tema molto rappresentato in Russia e partiva dal racconto nella Genesi dall’apparizione di tre figure angeliche a Abramo, e spesso nel dipinto venivano incluse anche altre figure, come Abramo e Sara o altri due angeli, a servire il banchetto dei tre angeli principali. La composizione e il colore, gli oggetti presenti, erano tutti codificati e trasmessi nel tempo dai maestri iconografi. In seguito i tre angeli vennero occasionalmente rappresentati come Padre, Figlio e Spirito Santo ed è solo con la consacrazione al Concilio succitato di questo particolare dipinto che l’immagine divenne formalmente la rappresentazione perfetta della trinità. Ispirandosi quindi alle prime rappresentazioni legate alla Genesi, il titolo originale del capolavoro di Rublëv è “Filossenia” e cioè “l’amore per lo straniero”, come erano stranieri gli angeli accolti, onorati e nutriti da Abramo e Sara. Il primo tema è quindi l’accoglienza dell’altro, del diverso, dell’estraneo, che è contemplata nelle tre grandi religioni monoteiste ed è ancora oggi molto presente in culture dove la religione ha un ruolo importante. La nostra capacità di riconosce l’altro, di capirlo e di accettarlo è alla base della compassione e dell’amore in tutte le sue forme. Al suo livello più alto è una capacità che prescinde dal giudizio, dal mi piace/non mi piace che è pure fondamentale per la nostra sopravvivenza. E’ una capacità che richiede di superare una ambiguità cognitiva. Da un lato riconosco l’altro come diverso da me e lo accetto per quello che è, senza aspettarmi che si vesta, parli o mangi come me. Dall’altro accetto l’altro perché lo riconosco come uguale a me, umano in cerca di ristoro e d’accoglienza e posso condividere con lui ciò che ho, perché riconosco che già condividiamo ciò che siamo. E l'accoglienza infine è duplice, in quanto lo straniero partecipa con fiducia del nostro desco e riconosce il nostro gesto non come condiscendenza ma come reciprocità. A sua volta chi è accolto accoglierà tramandando la tradizione nei secoli. A mio parere già a questo punto potremmo, attraverso una meditazione guidata portare attenzione al tema dell’accoglienza, dell’accettazione e dell’io/non io. Questo potrebbe avvenire attraverso il movimento dello sguardo, cosa lo attira, cosa evita, e nel movimento della ricerca di una postura che ci metta al cospetto del tema. L’accoglienza per noi non è un concetto astratto ma è vissuto nel corpo, negli occhi, nelle mani e attirare la nostra attenzione su questo può portare a una meditazione profonda. Possiamo continuare per accedere a un altro livello di consapevolezza, per toccare l’aspetto più spirituale di quest’opera. La Trinità cristiana riconosce il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, ma senza entrare nella simbologia iconografica, o nel catechismo, possiamo vedere nell’immagine il triangolo formato dal Creatore, dal Creato e dallo Spirito che li unisce. Non esistono l’uno senza l’altro, il loro legame è indissolubile ed è spirito d’amore che pervade e riunisce ciò che solo apparentemente è separato. Il creatore e il creato, il principio e il presente, non sono identici ma partecipano della stessa natura e si riconoscono e si accolgono a vicenda. Questo concetto può ricordare l’insegnamento dell’onda e dell’oceano nello Zen, o il segno yin-yang della tradizione taoista. Porta alla nostra attenzione la dualità/unità dell’essere. Vediamo che le tre figure sono sedute a un tavolo quadrato e l’invito è rivolto a noi, che stiamo guardando. L’icona permette che finalmente i nostri occhi si aprano e che ci guidino in questo passo verso la compartecipazione. In alcune riproduzioni di quest’icona vi è effettivamente uno specchio posizionato nello spazio riservato al quarto commensale. E cominciamo a chiederci, chi è altro da chi, chi contempla chi? E da questo lasciarci contemplare, scaturisce poi il desiderio di partecipare alla mensa, di rimetterci in cammino, di ricercare un nuovo incontro. Quando nella messa cristiana i fedeli dicono “non sono degno di partecipare alla tua mensa ma dì soltanto una parola ed io sarò salvato”, ecco questo quadro è proprio quella parola, questo quadro ci parla direttamente e ci dice che siamo degni anche nel momento in cui ci sentiamo più lontani da questo sentimento. La trinità del Rublëv ci richiama proprio a questo: l’incontro è l’irrinunciabile condizione di crescita e dignità umana, di salvezza dall’ignoranza, di innalzamento spirituale verso una verità che unisce visibile e invisibile, presente ed eterno. L’incontro con noi stessi, con gli altri e con il mistero della vita è un intreccio inestricabile a cui ogni momento di presenza consapevole ci avvicina. La condizione indispensabile per accogliere la Trinità è “lo stare sulla soglia nell’ora più calda del giorno”, come Abramo, e cioè essere aperti e disponibili, in attesa dell’arrivo dell’altro anche nei momenti più difficili. Se siamo chiusi in noi stessi, nel dolore o nella paura, o al contrario se siamo fuori di noi, se siamo sconosciuti a noi stessi, la relazione non avviene perché non c’è fiducia, non c’è consapevolezza, non c’è verità. È sulla soglia, al limite dell’io/non io che possiamo percepire questo spazio interiore che va ben oltre noi stessi ma ci comprende. È possibile quindi meditare su quest’opera a più riprese e su più livelli. Possiamo immaginare di farlo in diverse posizioni o in movimento. Se andassimo a vederla dal vivo a Mosca probabilmente ci muoveremmo nella sala per cogliere i giochi di luce e prospettiva. Ogni aspetto evoca stati mente/corpo diversi e stimola la nostra consapevolezza sul loro passaggio e su chi rimane a osservare e cosa osserva. - Estratto dalla mia tesi "Il movimento come presenza" per il Master "Mindfulness: clinica, pratica e neuroscienze" che ho fatto alla Sapienza.

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