venerdì, maggio 21, 2021

La mia amata Collalbo

Sopra Kematen

 
Panorama dalla finestra

Salotto con divano letto 200x140
 e balcone

Camera da letto, letto 200x140
Bagno

Parcheggio privato

Colazione sul balcone la mattina

Cucinino

Tutto quello che serve!


Divano letto 200x140



Prodotti tipici

In inverno

Fiori di campo

Bad Seiss

Laghetto di Kematen
Cavalli sui sentieri

Lo Sciliar dall'altopiano di Siusi







domenica, febbraio 21, 2021

Mindfulness e Metodo Feldenkrais

Questo anno di studio e pratica su l’MBSR e la meditazione sul Dharma, mi ha permesso di rivalutare
le mie esperienze con il Metodo Feldenkrais, che non è in sé una meditazione ma può diventarlo in quanto il linguaggio e il tocco dell’insegnante possono indurre uno stato di coscienza meditativo e di presenza interiore radicato nel corpo in movimento. La sua base etica non è la compassione della Mindfulness ma si basa sulla dignità individuale e relazionale in quanto in ogni individuo vede le potenzialità di miglioramento della consapevolezza e dell’espressione.
Già nella sua epoca Feldenkrais vedeva il lavoro sempre più guidato nei risultati e nei metodi, le arti marziali diventare più sportive e competitive e lo yoga ridursi a una disciplina del benessere legato alle posture e slegato dai suoi aspetti evolutivi e spirituali. Anche la fonte principale dell'esplorazione autodiretta, il gioco dei bambini, è stata trasformata dal commercio e dalla regolamentazione degli adulti.
Il metodo Feldenkrais usa il movimento per stimolare nel sistema nervoso centrale gli schemi motori innati e creare un reset per accedere a schemi più naturali ed efficienti. Analizzando lo svolgersi del movimento, dalla formazione delle intenzioni fino alla loro realizzazione non si migliora solo il movimento ma in generale il processo di autodirezione.
Questo processo di autodirezione sviluppa la consapevolezza dell’immagine, delle sensazioni e dei movimenti del corpo, e punta al recupero funzionale delle potenzialità individuali. Questa consapevolezza sviluppata e affinata nel tempo diventa una presenza corpo-mente sempre accessibile e sempre “in progress”, molto simile, nella mia esperienza, alla presenza del qui e ora della Mindfulness. Bisogna specificare che non è solo questione di essere presenti nel corpo, ma proprio nel movimento, preciso e deliberato, osservato senza giudizio.
Questo tipo di consapevolezza può aiutare un musicista o un atleta a migliorare la sua performance ma più semplicemente può aiutare un anziano a conservare il più a lungo possibile la mobilità, o un bambino a migliorare la capacità di pronuncia o di lettura. Porta miglioramenti sia nei movimenti funzionali più ampi, come il camminare e correre, che nei movimenti fini delle mani o degli occhi.
Come negli esercizi di Mindfulness affiniamo con la pratica la nostra attenzione sui diversi stati mentali, così nel Feldenkrais si affina la consapevolezza di stati corporei come la percezione dello spazio interno/esterno o la localizzazione dei diversi stati mentali nel corpo. In particolare si può migliorare la percezione dei movimenti minimi con particolare attenzione alla:
- scomposizione del movimento;
- ampiezza del movimento;
- direzione del movimento;
- tempo del movimento.
Chiamarli stati corporei, anziché che mentali, ci porta in realtà in un circolo vizioso sul problema mente/corpo. Ciò che invece è chiaro nell’esperienza del Feldenkrais è che si sperimenta uno spostamento di “peso” dalla testa al resto del corpo che diventa sempre più abitato, consapevole, duttile e presente. È una sensazione comune anche alla pratica di molte arti marziali più meditative, come Tai Chi e Qi Gong.
Sottolineiamo come anche nel Feldenkrais è possibile aumentare la consapevolezza sia per gradi, attraverso un aumento progressivo e prevedibile di specifici insegnamenti, sia per insight, con un salto di coscienza immediato, completo e non pianificabile che porta alla conoscenza contenuti che non sapevamo di non sapere.
L’ultimo aspetto che vorrei sottolineare del Metodo Feldenkrais è l’accento sull’assenza di sforzo. Cioè ogni movimento deve essere sperimentato il più possibile in modo ludico, curioso, evitando sforzi e soprattutto dolori, cosa che si pone in contrasto con molti altri metodi che vedono nello sforzo e nel dolore una conferma dell’efficacia dei risultati.

sabato, febbraio 20, 2021

Mindifulness e Psicosintesi

La psicologia transpersonale, di cui la Psicosintesi fa parte, si caratterizza per lo studio e la comprensione dell'esperienza interiore di ordine trascendente, che nel corso dei secoli ha ricevuto dalle diverse tradizioni numerose denominazioni: estasi mistica, coscienza cosmica, nirvana, satori, samadhi, regno dei cieli, nagual... La psicologia transpersonale integra l'esperienza della psicologia occidentale, soprattutto del filone gestaltico, esistenziale, umanista, con le tradizioni mistiche orientali basate sulla meditazione come lo yoga, lo zen, il sufismo, e con quelle sciamaniche basate sull'estasi e il contatto diretto con le forze della natura.

La Psicosintesi, fondata da  Roberto Assagioli (1888-1974), ritiene che le esperienze interiori di ordine mistico ed estatico cosi come l'anelito alla trascendenza dell'Io costituiscano un aspetto significativo dell'esperienza umana. Secondo Assagioli l'individuo è una inscindibile unità di componenti biologiche, psicologiche e spirituali, capace di sviluppare un orientamento cosciente e volitivo, per conoscere, possedere e trasformare il proprio mondo, sia inconscio che consapevole. L'essere umano è teso alla propria realizzazione lungo un percorso esistenziale e spirituale che non ha sostanzialmente mai fine. Assagioli sin dagli anni ‘30 era venuto in contatto con il buddismo indiano e tibetano e con diversi tipi di meditazione e tecniche yoga che praticava quotidianamente e quindi per me non è stato difficile ritrovare nella Mindfulness gli insegnamenti della Psicosintesi. 

Sia la meditazione che la Psicosintesi sono rivolte a una comprensione più ampia del mondo, spesso stimolata dall’incontro con la sofferenza e con il dare “senso della vita”. Il protocollo Mindfulness Based Stress Reduction, MBSR di cui sono diventata Insegnante, è stato sviluppato per offrire in forma accessibile uno stato mentale meditativo con l’obiettivo specifico di ridurre lo stress, ma nella pratica mantiene un aspetto di tensione verso l’alto, verso la parte migliore di noi, degli altri e di ciò che ci circonda. Per Assagioli la meditazione aumenta il nostro coraggio, il nostro agire con il cuore, e rafforza la nostra comprensione amorevole portandoci a riconoscere che ciò che siamo e a cui apparteniamo, il cosmo, è come dice il suo nome, ordine e armonia.

Nella Psicosintesi la pratica della meditazione viene sostenuta da un centro di volontà e consapevolezza che si rafforza e diventa sempre più accessibile con l’esperienza. Questo Io, sempre più chiaro e lucido, osserva ed è testimone dei contenuti mentali in tutti le loro forme. Grazie a questo centro sempre più sviluppato e individuato diventa possibile la “dis-identificazione” cioè la separazione tra l’io e gli stati mentali che vengono riconosciuti come attributi dell’io, da sviluppare, analizzare e sintetizzare a seconda delle circostanze della vita. L’Io diventa quindi un centro di pura consapevolezza. Un essere umano consapevole è un essere libero, che non è guidato da contenuti mentali impermanenti ma da una volontà che può deliberare e scegliere come vivere la propria autenticità all’interno di una realtà completamente compresa e accettata. Per me la Mindfulness e la Psicosintesi hanno in comune: 

  • La centralità della presenza cosciente nella propria vita, vista da Assagioli come volontà e quindi come piena responsabilità individuale.
  • La presenza cosciente come identità più autentica dell’individuo, vista come un percorso e non un punto di arrivo.
  • La proposta di un percorso pratico che possa arrivare al maggior numero di persone, attraverso tecniche diverse e adattate ai partecipanti.
  • La realtà, normalità e preziosità delle esperienze “alte” nella vita umana, anche le più estreme.
  • L’imperativo etico della bontà, amore, compassione, per sé stessi, per l’umanità e per il cosmo.

Nella foto il motto della Psicosintesi "The only way out is the way up"

mercoledì, febbraio 10, 2021

Mindfulness e arte

La trinità è un mistero, anche per i cristiani, e rimarrà sempre tale, ma a volte ci vengono dati degli sprazzi di visione e Andrej Rublëv consente per un breve attimo di guardare dietro il velo. Il capolavoro di Rublëv è tra le "immagini" più antiche del mistero trinitario e il Concilio dei Cento Capitoli di Mosca del 1551 dichiarò canonica la sua Trinità e stabilì che gli iconografi dovevano prendere esempio da quell'opera. La tradizione ci racconta che alla fine del XIV secolo in Russia si assiste al massacro delle popolazioni inermi e impotenti di fronte alla ferocia degli invasori Tartari che devastano la regione distruggendo case e chiese, decapitando corpi e bruciando raccolti. Soltanto il monaco Sergio, diventato poi santo, dona speranza alla popolazione e riesce a far splendere una piccola luce inviando un’ispirazione mistica a Rublëv che scavando sotto le macerie e il fango, dove tutto grida l’assenza di Dio, scopre un dipinto raffigurante il volto del Crocifisso. Il monaco comprende che se il Figlio di Dio è lì, in mezzo al fango, nessun uomo è privo dell’amore di Dio, che è presente nella notte della morte. A questo punto Rublëv decide di riprendere il pennello per testimoniare la speranza del Cristo Risorto e della Trinità presente in noi e fuori di noi, raccogliendo l’eredità spirituale di San Sergio appena morto. Concepire e dipingere un’icona è ancora oggi un’operazione molto delicata perché implica un coinvolgimento teologico e pratico dell’autore che deve meditare sul mistero da raffigurare e su come realizzarlo. Quindi non solo il soggetto mistico ma anche la ricerca dei materiali e la scelta del metodo sono investite dalla consapevolezza del pittore. In particolare all’epoca la trinità era un tema molto rappresentato in Russia e partiva dal racconto nella Genesi dall’apparizione di tre figure angeliche a Abramo, e spesso nel dipinto venivano incluse anche altre figure, come Abramo e Sara o altri due angeli, a servire il banchetto dei tre angeli principali. La composizione e il colore, gli oggetti presenti, erano tutti codificati e trasmessi nel tempo dai maestri iconografi. In seguito i tre angeli vennero occasionalmente rappresentati come Padre, Figlio e Spirito Santo ed è solo con la consacrazione al Concilio succitato di questo particolare dipinto che l’immagine divenne formalmente la rappresentazione perfetta della trinità. Ispirandosi quindi alle prime rappresentazioni legate alla Genesi, il titolo originale del capolavoro di Rublëv è “Filossenia” e cioè “l’amore per lo straniero”, come erano stranieri gli angeli accolti, onorati e nutriti da Abramo e Sara. Il primo tema è quindi l’accoglienza dell’altro, del diverso, dell’estraneo, che è contemplata nelle tre grandi religioni monoteiste ed è ancora oggi molto presente in culture dove la religione ha un ruolo importante. La nostra capacità di riconosce l’altro, di capirlo e di accettarlo è alla base della compassione e dell’amore in tutte le sue forme. Al suo livello più alto è una capacità che prescinde dal giudizio, dal mi piace/non mi piace che è pure fondamentale per la nostra sopravvivenza. E’ una capacità che richiede di superare una ambiguità cognitiva. Da un lato riconosco l’altro come diverso da me e lo accetto per quello che è, senza aspettarmi che si vesta, parli o mangi come me. Dall’altro accetto l’altro perché lo riconosco come uguale a me, umano in cerca di ristoro e d’accoglienza e posso condividere con lui ciò che ho, perché riconosco che già condividiamo ciò che siamo. E l'accoglienza infine è duplice, in quanto lo straniero partecipa con fiducia del nostro desco e riconosce il nostro gesto non come condiscendenza ma come reciprocità. A sua volta chi è accolto accoglierà tramandando la tradizione nei secoli. A mio parere già a questo punto potremmo, attraverso una meditazione guidata portare attenzione al tema dell’accoglienza, dell’accettazione e dell’io/non io. Questo potrebbe avvenire attraverso il movimento dello sguardo, cosa lo attira, cosa evita, e nel movimento della ricerca di una postura che ci metta al cospetto del tema. L’accoglienza per noi non è un concetto astratto ma è vissuto nel corpo, negli occhi, nelle mani e attirare la nostra attenzione su questo può portare a una meditazione profonda. Possiamo continuare per accedere a un altro livello di consapevolezza, per toccare l’aspetto più spirituale di quest’opera. La Trinità cristiana riconosce il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, ma senza entrare nella simbologia iconografica, o nel catechismo, possiamo vedere nell’immagine il triangolo formato dal Creatore, dal Creato e dallo Spirito che li unisce. Non esistono l’uno senza l’altro, il loro legame è indissolubile ed è spirito d’amore che pervade e riunisce ciò che solo apparentemente è separato. Il creatore e il creato, il principio e il presente, non sono identici ma partecipano della stessa natura e si riconoscono e si accolgono a vicenda. Questo concetto può ricordare l’insegnamento dell’onda e dell’oceano nello Zen, o il segno yin-yang della tradizione taoista. Porta alla nostra attenzione la dualità/unità dell’essere. Vediamo che le tre figure sono sedute a un tavolo quadrato e l’invito è rivolto a noi, che stiamo guardando. L’icona permette che finalmente i nostri occhi si aprano e che ci guidino in questo passo verso la compartecipazione. In alcune riproduzioni di quest’icona vi è effettivamente uno specchio posizionato nello spazio riservato al quarto commensale. E cominciamo a chiederci, chi è altro da chi, chi contempla chi? E da questo lasciarci contemplare, scaturisce poi il desiderio di partecipare alla mensa, di rimetterci in cammino, di ricercare un nuovo incontro. Quando nella messa cristiana i fedeli dicono “non sono degno di partecipare alla tua mensa ma dì soltanto una parola ed io sarò salvato”, ecco questo quadro è proprio quella parola, questo quadro ci parla direttamente e ci dice che siamo degni anche nel momento in cui ci sentiamo più lontani da questo sentimento. La trinità del Rublëv ci richiama proprio a questo: l’incontro è l’irrinunciabile condizione di crescita e dignità umana, di salvezza dall’ignoranza, di innalzamento spirituale verso una verità che unisce visibile e invisibile, presente ed eterno. L’incontro con noi stessi, con gli altri e con il mistero della vita è un intreccio inestricabile a cui ogni momento di presenza consapevole ci avvicina. La condizione indispensabile per accogliere la Trinità è “lo stare sulla soglia nell’ora più calda del giorno”, come Abramo, e cioè essere aperti e disponibili, in attesa dell’arrivo dell’altro anche nei momenti più difficili. Se siamo chiusi in noi stessi, nel dolore o nella paura, o al contrario se siamo fuori di noi, se siamo sconosciuti a noi stessi, la relazione non avviene perché non c’è fiducia, non c’è consapevolezza, non c’è verità. È sulla soglia, al limite dell’io/non io che possiamo percepire questo spazio interiore che va ben oltre noi stessi ma ci comprende. È possibile quindi meditare su quest’opera a più riprese e su più livelli. Possiamo immaginare di farlo in diverse posizioni o in movimento. Se andassimo a vederla dal vivo a Mosca probabilmente ci muoveremmo nella sala per cogliere i giochi di luce e prospettiva. Ogni aspetto evoca stati mente/corpo diversi e stimola la nostra consapevolezza sul loro passaggio e su chi rimane a osservare e cosa osserva. - Estratto dalla mia tesi "Il movimento come presenza" per il Master "Mindfulness: clinica, pratica e neuroscienze" che ho fatto alla Sapienza.